Emergency Hospital, Lashkargah (Helmand Province)
In collaborazione con “EMERGENCY Ong Onlus”
A circa dodici anni di distanza dalla prima esperienza con EMERGENCY Ong Onlus, una nuova opportunità di collaborare a un grande progetto umanitario sostenuto da un’organizzazione riconosciuta e apprezzata sia dalla popolazione locale che dai professionisti internazionali impegnati nel settore umanitario.
Qui di seguito alcuni appunti dal mio diario personale.
02.02.2018
Oggi parto. Ho un carico di emozione che non avevo dal tempo della Sierra Leone. Allora ero preoccupato per l’aspetto medico e logistico ma c’erano meno implicazioni emotive. Immagino sia naturale, magari legato sia al fatto che ora ho una famiglia con bimbi, che all’età (si dice che molti diventano più emotivi e di lacrima facile a una certa età).
05.02
Sto Bene. Sono A Kabul. Sono senza voce e con un po’ di mal di gola a causa dell’adattamento climatico. Oggi pomeriggio un bimbo di otto anni con amputazione traumatica di gamba bilaterale e lesione trachea (MI: Mine Injury, mina antiuomo). In nessun posto come qui in Afghanistan si può apprezzare “l’impermanenza dei fenomeni”. Tutto è transitorio e volatile, soprattutto l’esistenza delle persone. Mentre scrivo sento dei rumori in lontananza, che a Gabicce identificherei come fuochi d’artificio ma qua dovrebbe essere altro.
07.02
Oggi partenza per Laskargah dopo la conferma da parte di UNHAS. Il volo è stato un’avventura nell’avventura. Un paesaggio mozzafiato in questo Afghanistan visto dall’aereo. Sarebbe un posto da “turismo estremo” ma non ci sono carovane di turisti a terra, solo le buche delle bombe e qualche capanna spelacchiata.
In Ospedale l’impressione è ottima, da subito. Lo sguardo incrocia i fiori sbocciati in una fine d’inverno anticipato; sono i primi che vedo in Afghanistan e colgo un segnale positivo, li sento sussurrare al mio passaggio “andrà tutto bene, stai tranquillo, sei nel posto giusto, qui è il tuo posto, fidati”. I ragazzi del team sono molto gentili, mi hanno accolto molto bene. Ho ottime impressioni.
15.02
Sono arrivato qua il 7 Febbraio, dopo aver trascorso tre giorni all’ospedale di EMERGENCY di Kabul e con un avventuroso volo ONU con sosta a Kandahar per fare la pipì.
Il pronto soccorso è un continuo di arrivi con traumi da pallottola (BI: Bullet Injury) o schegge di bomba o granata (SI: Shell Injury). Soprattutto maschi e bambini. Circa 50% dei problemi è ortopedico.
C’è una bella energia in questo posto (l’ospedale è intitolato a Tiziano Terzani) e il rapporto con i Colleghi afghani, giovani e anziani, è prezioso e lo sto coltivando più di ogni altra cosa.
Ieri per la prima volta però ho avuto un momento di sconforto. Questo posto è un pozzo senza fine di disgrazie e i bambini pagano il prezzo più alto. Alle 17:00 sono arrivate due sorelle di sette e dieci anni con ferite penetranti al cranio e addome da Shells (schegge di bomba); sono andate subito in sala operatoria a fare la laparotomia e craniotomia, una aveva già un occhio perso per quello che ho potuto vedere. Il fratellino di cinque anni è morto sul posto: hanno beccato una mina, abitano in campagna.
Oggi va decisamente meglio: ho lasciato andare l’emotività e mi sono concentrato sul lavoro, bene così.
Più sto qui, più mi rendo conto che l’atto medico in se, tipo salvare qualche braccio o qualche gamba o qualche vita, anche di bambini – peraltro doveroso – alla fine non fa molta differenza. Nel senso che qui, tanti ne metti a posto e tanti altri sono già all’ingresso che aspettano di entrare. L’unica cosa che può fare la differenza è l’insegnamento al personale del posto, sia pratico (sulle cose mediche) che morale (dedizione al lavoro senza guardare troppo al guadagno). Se questo paese potrà riprendersi sarà solo grazie a posti come questo dove ci sono medici e infermieri del posto che si fanno un gran mazzo per salvare i propri connazionali. Questi sono gli eroi dell’Afghanistan. Noi siamo giusto un innesco ma il grosso lo possono fare solo loro.
10.03
Ieri la giornata lavorativa è finita con il corpo di un bimbo di nove anni, già morto, spinto di corsa con la barella in OPD; era stato colpito da una pallottola mentre era in macchina in prossimità di un Check Post. Fuori dall’Ospedale ad attendere, la madre e altri cinque fratellini.
16.03
Venerdì. Se guardo con distacco la vita che faccio mi rendo conto che sto (stiamo, tutti noi dell’International team) vivendo in una bolla. Tutte le tragedie che vediamo, i bambini che arrivano già morti o muoiono davanti a noi in OPD con bullets o shells o a causa di muri crollati per le esplosioni. In Ospedale pazienti di tutte le età, mutilati, gravi, decerebrati. Fuori dall’ospedale uno strazio… Però riusciamo a vivere, a ridere, a lavorare e a insegnare e nonostante siamo così diversi gli uni dagli altri, abbiamo rispetto reciproco e tiriamo avanti la carretta assieme. Il venerdì è poi una bolla nella bolla: io lo passo in camera per la maggior parte del tempo, preparando le lezioni della settimana, ascoltando musica indiana (si, proprio musica indiana!) e studiando e ciò mi rilassa alquanto.
23.03
18:45 – una forte esplosione
19:15 – si va. Di corsa. Mass Casuality
24.03
Ieri è stata una bella sberla. Prima l’esplosione; così vicina che ho sentito il doppio rumore della botta e dello spostamento d’aria… così diverso dal rumore dei bombardamenti che sento in lontananza. Poi tutti nel corridoio. A seguire spari (è la polizia che inizia a sparare in aria per dissuadere eventuali successivi attentatori a proseguire il lavoro… così mi dicono). La corsa in Ospedale con un’auto sola, tutti stipati dentro. Il viaggio l’ho fatto nel retro e guardavo la strada allontanarsi; dietro di noi, subito dopo aver girato l’angolo, la infondo, il luogo dell’esplosione: lo stadio (un campo di sabbia e ghiaia con delle righe e forse due porte ai lati, sicuramente convertito a campo di Cricket) dove si teneva un festeggiamento religioso per il nuovo anno islamico. Era già buio, nessuna luce per strada ma una folla di residenti, tutti usciti per strada, ci accompagnava con lo sguardo. Non siamo mai andati così veloci; a ogni cunetta si rimbalzava come palloni. Arrivati in Ospedale, già pieno di pazienti, erano circa le 19:50. Subito in Sala operatoria. 15 morti sul posto, 50 ricoveri, 5 morti in ospedale, 45 interventi. Al primo intervento stavo per svenire (penso per la tensione accumulata) così mi sono buttato sul divanetto della saletta. Sono rimasto li sdraiato per 5 minuti, poi in piedi fino alla fine. Sono voluto rimanere in sala fino all’ultimo paziente, assieme al chirurgo afghano. Per fortuna pochi casi gravi. Ho fatto un’amputazione a un bimbo di 7 anni nel corridoio della sala operatoria, Alle 5:00 del mattino avevamo finito.
29.03
Alcuni Pazienti:
35 anni, contadino, sposato con figli; stava lavorando nel campo quando si è beccato la solita pallottola vagante. Gli ha fatto fuori un testicolo e l’arteria femorale da un lato. Sopravvissuto
Una mina è esplosa mentre la madre stava camminando con i suoi tre figli. Il più grande di 12 anni è morto in OPD, la figlia di 6 anni si è presa una scheggia nel cervello (operata, sta meglio), la più piccola di 4 aa ha una frattura alla mandibola: fissatore esterno e tracheostomia. Nell’incidente la madre ha perso completamente la vista.
Maschio. 30 anni. Sparato in testa nel deserto da un ladro che gli ha rubato l’auto. Trovato con le mani legate dopo 20 ore. Proiettile entrato dall’occhio sin e raggiunto T7 a dx posteriormente. Operato in urgenza all’arrivo in ospedale. Al momento Emiplegico ma in miglioramento.
Donna 25 anni (ne dimostra 50). In cinta di 5 mesi. Proiettile nell’addome: lesione di colon, utero, vescica. Feto abortito spontaneamente durante il viaggio in ospedale.
Maschio 10 anni. Bullet Injury (Proiettile). Fratello ucciso di fronte a lui. Brutta ferita in fossa iliaca. Laparotomia. Post Traumatic Stress Disorder: ha continuamente allucinazioni e ricorda l’accaduto, ha paura di tutti ed è sempre con uno sguardo terrorizzato. Anche a distanza di settimane ha momenti di panico incontrollabili, inconsolabile. Inizialmente in miglioramento dal punto di vista generale ma psichicamente sempre molto male. Deceduto dopo un mese, in Ospedale.
Maschio 4 anni. Incidente stradale. Frattura biossea distale di gamba. In vacanza con la famiglia di dieci persone dal Pakistan (erano venuti a trovare i parenti). Nell’incidente stradale hanno perso la vita due fratellini, la madre e altri due adulti. Il bambino è stato poi portato via dai famigliari sopravissuti, che ritornavano in Pakistan per le cure definitive.
Maschio 15 anni. Pallottola al gomito, frattura esposta comminuta Radio e Ulna prossimali G3C. Vive in zona di guerra (qui attorno sono tutte zone di guerra). Il fratello drogato ha preso la mitragliatrice e ha sparato ai famigliari uccidendo il padre e un altro fratello e ferendo gravemente lui (che è il fratello minore).
12.04
Una Mail a un Collega:
Continua ad andare tutto bene. C’è molto da fare ma rimane anche tempo per preparare le lezioni giornaliere ai Junior doctors. Ogni mattina facciamo trenta- quaranta minuti di lezione e devo preparare i Power Point in inglese.
In questi giorni c’è abbastanza calma in quanto è iniziata la raccolta dell’oppio, quindi tutti i combattenti vanno a lavorare nei campi. No oppio = no eroina = no soldi per le armi.
Comunque i nostri dieci pazienti al giorno li ricoveriamo sempre (e ovviamente, prima passano tutti dalla sala operatoria, in urgenza. Gli “elective case” sono le fratture chiuse dei bimbi… fa un po’ te!)
Io sto bene, anche se dopo l’attentato di qualche settimana fa sono un po’ più teso: basta che sento uno sparo in lontananza o una porta che sbatte e m’irrigidisco subito. L’altra notte sulla strada hanno sparato dei piccoli fuochi d’artificio per una festa e ti dico… mi stava venendo un infarto. Obiettivamente parlando non ho comunque motivi reali per preoccuparmi di più ora, rispetto a prima. E’ comunque tutto così imprevedibile e volatile che se da una parte stressa, dall’altra è una bella lezione di come bisognerebbe vedere la vita, in qualsiasi posto ci si trova, non solo qua.
18.04
L’insegnamento è l’unica cosa che rimarrà una volta che non ci saremo più, quando altri avranno occupato il nostro posto, quando quest’ospedale non ci sarà più; allora la cosa migliore che avremo potuto fare per questa gente sarà stato il nostro insegnamento.
Questa sensazione l’avevo già vissuta dodici anni fa in Sierra Leone e per certi aspetti la vedo simile all’esperienza della paternità: quando hai -o ti assumi – una responsabilità verso qualcuno che ha bisogno di te, smetti di essere al centro del mondo e dopo un po’, se mantieni il cuore aperto, sperimenti quanto sia bello dare senza pretendere in cambio nulla. E’ il sentirsi al posto giusto al momento giusto, senza troppi fronzoli, semplicemente li, a ricoprire il tuo ruolo. Non puoi desiderare altro, sei appagato, in pace.
04.05
Oggi è una giornata così bella e silenziosa, si sentono solo gli uccellini nel giardino. Questo posto sarebbe un paradiso senza la guerra: deserto, montagne, fiumi, chai, kebab, dolcetti al sesamo, neve e caldo, profumi al narciso, uccelli di ogni tipo inclusi i merli indiani che sono intelligentissimi, vestiti bellissimi, zafferano, niente televisione né internet, motociclette Pamir con l’accensione meccanica a pedale. Tutto bello, tutto. Peccato che ci sia la guerra.
15.05
Nel viaggio Casa-Ospedale-Casa sul retro del Land Cruiser s’intravede la vita del paese: pochi secondi nei quali, con la coda dell’occhio, puoi seguire le scene sulla strada.
Le ragazzine col velo attillato e le donne col burka. I bimbi con i vestiti lerci che lavorano nelle botteghe. I continui incidenti stradali, e quelli evitati per un pelo. Le motociclette Pamir con due adulti e quattro bambini a bordo. Il baracchino che vende i Bulani fritti alle otto del mattino. I pickup della polizia, con le mitragliatrici sopra e i poliziotti con i Kalashnikov, a volte gli Hammer corazzati dell’esercito afghano. I ragazzini che giocano a cricket nelle vie laterali. Le auto, le moto, le bici e i pedoni, che vagano senza un ordine per la strada, alla velocità più elevata possibile. Il vecchio Baba che è uscito dall’ospedale, si aiuta con il bastone e quasi non si regge in piedi …poi viene caricato dai famigliari sulla moto del nipotino. Un ragazzo con quattro galline in vendita al bordo strada. Il bimbo di tre anni che cade nella fogna a cielo aperto e viene tirato su dagli amichetti, tutto sporco. I bimbi che vendono i ghiaccioli in una specie di carriola fucsia, il cui richiamo è il loop della musichetta di “tanti auguri a te”. Abibullah in bicicletta, con il suo vestito rosa e la bimba seduta sul portapacchi posteriore. Il poliziotto alla rotonda che ci saluta e blocca il traffico per farci passare. I bambini che rovistano tra i rifiuti. I negozietti delle vie laterali all’interno del Bazar. La moschea e la caserma della polizia. Le auto senza targa. I taxi, i Rakshà: costruiti usando la solita moto indiana e attaccandoci dietro un box, tipo quello dell’Ape. I tappeti stesi in mezzo alla strada per essere puliti dalle auto che ci passano sopra. Il pastore con una ventina di capre al seguito, che cammina in mezzo alla strada e si ferma a salutare gli amici. Le baracche dei meccanici di bici e moto. Il ristorante che cucina qualsiasi cosa a tutte le ore del giorno e della notte. L’enorme cespuglio di marijuana sul lato destro della strada, con i padroni che ci prendono un tè lì vicino.
17.05
Esmatullah ha 10 anni ed è epilettico dalla nascita. Abita con la famiglia a Farah. Il padre stava accompagnando il figlio in auto in Pakistan in un “viaggio della speranza“ per provare a curarlo. Nel viaggio in auto, vengono a trovarsi sulla linea di fuoco dei combattimenti: una pallottola colpisce in testa al bimbo e feriscono lievemente il padre. Esmatullah arriva in fin di vita con frattura cranica e perdita di sostanza cerebrale. Bimbo operato in urgenza; il padre se la cava con qualche sutura. Nei due giorni successivi il piccolo si riprende ma è impaurito e vuole sempre tenere per mano l’infermiera, non la lascia lavorare, vuole essere accompagnato a casa dal padre: ingestibile. Alla fine richiamiamo il padre che era stato subito dimesso (non ha detto al resto della famiglia dell’incidente, si è inventato che il bimbo è stato ricoverato all’ospedale di Emergency per curare l’epilessia). Ora padre e figlio sono assieme, che passeggiano mano nella mano nel giardino e sorridono. Questa è l’ultima immagine dell’ultimo paziente afghano che vedo… ed è bellissima.
Nelle guerre moderne circa il 90% delle vittime sono civili; persone come noi, con famiglie e lavori come i nostri, con i nostri stessi desideri e le nostre stesse paure. Sono persone che molto spesso non sanno nemmeno perché attorno a loro c’è una guerra ma ne subiscono le conseguenze più nefaste.
MZ