Emergency Hospital, Goderich
In collaborazione con “EMERGENCY Ong Onlus”
A pochi mesi di distanza dall’esperienza etiope, un nuovo impegno lavorativo sull’altra sponda del Continente Africano. L’esperienza in Sierra Leone ha segnato profondamente il mio percorso professionale ed umano. Di ritorno dalla Sierra Leone, cambiano le priorità: a distanza di un anno nasce il mio primo figlio e la mia attività professionale si sposta in altri Ospedali, comincio a dedicarmi sempre più intensamente all’Ortopedia Pediatrica.
Qui di seguito alcuni stralci del Diario tenuto durante quell’estate africana del 2006…
[26.05.2006– Sono arrivato in un caldo lunedì pomeriggio dopo avere sorvolato il Sahara che non finisce mai. All’aeroporto la solita confusione di tutti gli aeroporti fatiscenti del terzo mondo; questo poi è in mezzo a una palude e assomiglia più alla stazione ferroviaria di Viserba che ad un aeroporto. Comunque i bagagli sono arrivati assieme a me e questo era ciò che contava di più. Il cambio l’ho dato a un attempato chirurgo ortopedico inglese che ha lavorato duro e dal quale raccolgo un’eredità non facile da gestire. Queste due settimane sono state scandite dalla sveglia mattutina alle 7, preceduta da un limbo di due ore nel quale vengo regolarmente svegliato dai camion che saltano sulle buche disseminate lungo la strada sterrata che al tempo delle colonie inglesi era asfaltata – “never mind”. Siccome la stagione delle piogge non è ancora al massimo del suo splendore a volte riesco a farmi a piedi l’andata e il ritorno dall’ospedale: è questa l’unica possibilità che ho al momento di conoscere l’Africa e devo ammettere che bastano questi 500 metri per toccare con mano e vedere di persona cosa vuol dire vivere nel paese più povero del mondo secondo le ultime stime dell’ONU. Non è stato facile il primo impatto e per certi versi non lo è tutt’ora e chi mi ha sentito via sms e telefonicamente l’ha intuito. Ora va meglio, mi sto piano piano abituando ai ritmi e ai tempi, alle patologie e ai contrattempi, alla mancanza di comodità, alle difficoltà e agli imprevisti che sono l’elemento fondamentale della vita africana. I Pazienti da vedere in OPD sono almeno 50 ogni giorno escluse le urgenze, attualmente ci sono circa 90 pazienti ortopedici ricoverati con i problemi più disparati (osteomieliti, fratture chiuse e esposte, pseudoartrosi, ustionati, poliomielite…). Insomma c’è da lavorare ma soprattutto senza perdere la testa]
[03.06.2006 -La Strage del Cotton Tree. Cosa pensare quando un bel sabato pomeriggio, nel mezzo di un acquazzone tropicale, con ancora una ventina di pazienti da vedere tra ambulatorio e pronto soccorso ti arriva la notizia che un albero secolare, il “cotton tree”, è crollato in città facendo almeno un centinaio di vittime tra morti e feriti…?! Come si suol dire: “piove sempre sul bagnato”. Per fortuna allo stato di allerta non ha fatto seguito l’afflusso previsto di pazienti. Solo una frattura esposta di gamba, un’amputazione traumatica di gamba (che ho cercato a tutti i costi di non disarticolare al ginocchio ma per le brutte condizioni del moncone mi sono visto costretto ad amputare alla coscia… e speriamo che sia finita qui!), una lussazione posteriore d’anca, un femore rotto e contusioni e ferite varie; dicono che 42 persone siano morte sul posto, schiacciate dai rami secolari dell’albero caduti sulle baracche circostanti. Per me comunque 42 morti sembrano un pò troppi (!), anche considerando il fatto che i “locals” tendono un tantino ad esagerare ma la stima precisa dell’incidente non si saprà mai, tanto vale fare come si fa al solito qui… lasciare che tutti aggiungano qualcosa alla notizia così che la leggenda dilaghi]
[20.07.2006 – Happy hour da Mohammed. Ieri dopo una giornata durissima per diversi motivi per i quali non voglio dilungarmi, sono uscito dall’ospedale e con B. e M. e ci siamo fatti la strada di casa a piedi fermandoci nel bar-baracca di Mohammed a prendere una birra e a socializzare con i locals. Abbiamo parlato e scherzato. Mohammed mi ha regalato un pacchetto di chewingum e un biscotto per ringraziarmi del bene che EMERGENCY sta facendo per la popolazione locale. Alle 18.00 il sole inizia rapidamente a tramontare e anche questo posto così triste acquista il suo fascino, con i camion carichi di lavoratori che –se non rompono il semiasse per strada- tornano a casa e i bambini sporchi dopo una giornata di giochi che ti urlano”Opo-tu! Opo-tu! White Man!”e in quell’ora trascorsa non come medico ma come persona comune –come in tutte le rare occasioni che ho di frequentare questa gente al di fuori del lavoro- avverto che questi Sierraleonesi sono anche molto simpatici, gentili e di compagnia. Insomma, bisognerebbe venire qui in vacanza piuttosto che a fare il medico. Però anche se fra di loro si abbracciano e si prendono per mano, non sono abituati a gesti d’affetto da parte dei bianchi e io ci rimango sempre un po male quando alzando la mano per dargli una pacca sulla spalla si ritraggono proteggendosi la testa timorosi di prendersi una sberla. Pensare che solo 7 anni fa in questi posti e tra questa gente si è consumata una delle guerre più atroci e sanguinose.]
[01.08.2006. Effetti Collaterali. Ormai è chiaro, il LARIAM mi fa tremare le mani. Devo ammettere che non è un fastidio grave ma nei due giorni successivi alla dose settimanale del farmaco faccio molto fatica ad eseguire lavori manuali che richiedono una certa precisione. Per questo ho deciso di non mettere in nota operatoria interventi troppo fini il lunedì mattina che è ufficialmente diventato il giorno di sala operatoria dove si smazzola senza badare troppo alle sfumature. A fronte di questo effetto indesiderato c’è la protezione contro la malaria e allora va bene così: un po di diserbante non ha poi mai fatto male a nessuno specialmente nell’era dei fagiolini transgenici, dei cellulari cancerogeni, delle pallottole all’uranio impoverito e del blocco settimanale del traffico. Chi non fa la profilassi –e ce ne sono molti tra gli internazionali impegnati nelle varie organizzazioni sparse per il paese- sostiene che tanto la malaria viene lo stesso e farsi un antiparassitario per tanti mesi è un suicidio, per non parlare degli effetti indesiderati tra i quali le crisi di panico e l’infarto cardiaco… sarà, ma devo dire che non ho ancora visto o sentito di qualcuno che si è ammalato pur facendo la profilassi e tantomeno impanicati e infartuati. D’altra parte molti di quelli che non la fanno contraggono la malattia e anche in maniera molto grave; quando vedo i loro volti appesantiti da giorni di febbre –alcuni internazionali estranei all’organizzazione vengono proprio nel nostro ospedale a curarsi- non ho il minimo dubbio sulla bontà della mia decisione. Per me invece il problema più grosso è ricordarmi di prendere quella pastiglia benedetta e così mi sono ficcato in testa la musichetta di “Saturday night fever” dei Bee Gees perché la febbre mi ricorda la malaria e il saturday night il momento in cui devo prendere la pastiglia, con il risultato finale che a volte me ne dimentico lo stesso pur non riuscendo più a togliermi dalla testa quel motivetto anni settanta che è ormai diventato il mio “tormentone dell’estate”. C’è un’altra cosa alla quale il tremolio delle mani mi fa pensare ed è quella strana, inusuale, indisponente sensazione che ogni anziano mi sà che dovrà avere quando si rende conto di non poter fare più quelle cose scontate che faceva un tempo da giovane come correre, camminare o –nel mio caso- lavorare con le mani e ciò lo considero un po come un assaggio del decadimento fisico al quale tutti noi andiamo in contro per il semplice fatto di vivere e invecchiare… non è poi male conoscere per tempo il proprio destino.]
[15.09.2006. Non vorrei mai dimenticare questi giorni, vorrei ricordare i volti e le storie dei pazienti che ho assistito: bimbi, giovani, anziani. Loro sono il monumento vivente di una umanità sofferente ma ancora viva e incredibilmente dignitosa e ottimista. Vorrei ricordare i tanti pranzi di lavoro in quel fantastico ristorantino che è la nostra Canteen dell’ospedale, presso la quale si serve rigorosamente cucina africana; pranzi a base di zuppa di foglie di patata e di Cassawa, del riso costantemente scotto ma pur sempre delizioso, di un pesce di nome “Snapper” che rappresenta la più grande fonte di sostentamento alimentare dei sierraleonesi e del quale comincio solo ora a stancarmi dopo oltre 3 mesi di giornaliero incontro. Vorrei ricordare tante storie, come quella di Ruby, un chitarrista reggae che si è presentato in OPD un sabato pomeriggio chiedendo di farsi togliere una pallottola dalla schiena che dopo 10 anni gli cominciava a dare fastidio; Ruby era accompagnato dalla mamma (ma ce lo vedi? …tipo Bob Marley che va dal dottore con la mamma?) e mi ha promesso un canzone. La sua ferita è ormai cicatrizzata e la pallottola pende come un trofeo al suo collo ma io ancora lo aspetto e mi sa che dovrò rinunciare al mio reggae personalmente dedicato. Vorrei ricordare di quando mi sono preso il tifo e ho passato due giorni di sofferenza con la febbre alta e una serie interminabile di andirivieni dal bagno in un delirio liquido senza precedenti nella storia della diarrea. Non vorrei dimenticare le contraddizioni e le debolezze ma anche la tenerezza di questa umanità, la cui esistenza è così lontana dalla nostra idea di dignità sociale, fisica e morale. Vorrei ricordare per sempre tutto questo e dirmi un’altra volta che si, nonostante la sofferenza di essere lontano da casa, in un ambiente così poco confortevole per i miei standard, vale la pena esserci, vale la pena… anzi è un onore, essere parte di questa avventura.]
MZ